Collocamento obbligatorio, ecco perché "il governo rischia di arenarsi"
Analisi dell'Anmic che passa al setaccio lo schema di decreto
legislativo 176/2015 sulla razionalizzazione e semplificazione del
sistema di inserimento lavorativo mirato delle persone con disabilità.
Chiamata nominativa, riduzione di fatto dei posti riservati, nessun
intervento per la disabilità intellettiva. Il presidente Pagano: "Ci
vogliono modifiche"
ROMA - Lo schema di decreto legislativo n. 176/2015 in
materia di razionalizzazione e semplificazione del sistema di inserimento
lavorativo mirato delle persone con disabilità, contiene sì aspetti di
positività, ma al contempo non interviene con efficacia su alcuni aspetti
critici che risultano invece fondamentali. E' il giudizio dell'Anmic,
l'associazione nazionale mutilati invalidi civili, che individua alcuni "scogli
sui quali rischia di arenarsi l'attuale tentativo del Governo di migliorare la
normativa sul collocamento obbligatorio".
Primo fra tutti gli aspetti ritenuti controversi, è secondo l'Associazione
l'introduzione della chiamata nominativa come regola rispetto a quella numerica
(articolo 6, comma 1, lettera a). "In tal modo - spiega il presidente nazionale
Anmic Nazaro Pagano - si lascia al datore di lavoro la possibilità di
selezionare il lavoratore disabile da assumere che, con ogni probabilità, sarà
individuato solo tra le persone con un minore grado di invalidità". "Questo
rischio - spiega ancora - non risulta compensato dall'aver previsto incentivi
(all'articolo 10), perché se è vero che sono previsti in misura maggiore per le
assunzioni dei disabili più gravi, tali incentivi hanno poi una capacità di
azione limitata, sia per importi che per durata, che è fissata in soli 36 mesi".
Secondo aspetto negativo è per l'Anmic la questione della
riduzione "di fatto" dei posti da assegnare ai disabili. Anche se formalmente
sono state mantenute inalterate le percentuali delle quote di riserva, infatti,
in realtà nel computo vengono inseriti anche i lavoratori disabili al 60% o
psichici o intellettivi al 45%, (riconosciuti tali prima della costituzione del
rapporto di lavoro ma non assunti attraverso il collocamento obbligatorio): ciò
di conseguenza comporta una riduzione dei posti futuri riservati ai disabili
dal momento che si devono computare, ai fini del rispetto delle quote di
riserva, anche coloro che sono stati assunti in modo ordinario e sulla base
delle proprie capacità e che non si sono avvalsi della condizione di
disabilità.
Un analogo effetto - prosegue l'analisi dell'Anmic - è
collegato, in modo indiretto, alla previsione dell'articolo 2 della bozza di
decreto legislativo che aggiunge - tra i soggetti destinatari delle
disposizioni della legge n. 68/99 - anche le persone nelle condizioni di cui
all'articolo 1 comma 1, della legge n. 222/84, cioè coloro che hanno visto
ridotta la propria capacità lavorativa a meno di un terzo e sono titolari di
assegno di invalidità contributivo. "Sarebbe stato invece pienamente in linea
con una politica di tutela dei disabili - afferma Nazaro Pagano - lasciare
invariato il criterio di individuazione dei soggetti da computare ai fini del
calcolo della riserva ed estendere a tutti i lavoratori disabili, con una
determinata percentuale di invalidità e anche se non assunti con il
collocamento obbligatorio, tutte le forme di tutela riservate a coloro che sono
stati assunti ai sensi della legge n. 68/99".
Terza lacuna da colmare secondo l'Anmic è il fatto che nessuna
disposizione è stata introdotta per la disabilità psichica ed intellettiva. Ai
sensi del quarto comma dell'articolo 9 e dell'articolo 11 della legge n. 68/99,
queste persone possono essere collocate solo sulla base di apposite convenzioni
sottoscritte da datori di lavoro ed enti pubblici che prevedono programmi di
inserimento lavorativo e di formazione. Si tratta pertanto di una normativa
discriminatoria perché non tiene conto delle diverse forme di disabilità
psichica ed intellettiva e dell'esistenza di patologie mentali di minore
importanza o ben compensate che, laddove fossero supportate da un giudizio
funzionale di idoneità a determinate mansioni lavorative, renderebbero
pienamente legittima l'assunzione attraverso le chiamate numeriche o dirette
dalle liste di collocamento obbligatorio, in posizione paritaria rispetto ai
disabili fisici.
Il quarto e quinto aspetto critico, correlati fra loro,
riguardano il problema delle attuali "scoperture" e l'elusione della normativa
sul collocamento obbligatorio. Come si ricorderà, spiega l'Anmic, attualmente
si calcola che le "scoperture" di posti destinati ai disabili ammontano a circa
180.000 unità. Ma nulla è stato previsto finora per i datori di lavoro privati
che non hanno assunto o non assumono disabili, né per le Pubbliche
amministrazioni chiamate ad una revisione delle loro strutture organizzative e
alla copertura obbligatoria delle quote di riserva risultate scoperte. "Il sistema
sanzionatorio per i datori di lavoro che non assumono disabili risulta a nostro
giudizio inefficace", afferma il presidente nazionale Pagano. Se infatti (come
previsto nel decreto legislativo n. 23/2015, frutto della stessa delega che è
alla base della bozza di dlgs in discussione) si è qualificato il licenziamento
di un lavoratore disabile effettuato a causa della sua disabilità come atto
discriminatorio o nullo e si è prevista perciò la reintegrazione nel posto di
lavoro, per analogia il comportamento del datore di lavoro che non assume
disabili pur avendone l'obbligo allo stesso modo, costituisce sotto il profilo
giuridico anch'esso un atto discriminatorio. In tal caso infatti - spiega l'Anmic
- non essendo ammissibile una esecuzione in forma specifica dell'obbligo di
costituire il rapporto di lavoro, la tutela risarcitoria a favore di chi
subisce la mancata assunzione è un rimedio sicuramente efficace da introdurre
nell'ordinamento, "fino a quando non maturi nel mondo datoriale una cultura
della solidarietà e l'idea della funzione sociale di proprietà ed impresa".
Vi sono infine altri temi - conclude il Presidente ANMIC -
che meriterebbero ulteriore riflessione. "Al di là dei tecnicismi, ci limitiamo
ad esempio a ricordare la questione dell'affidamento al Ministero del lavoro e
delle politiche sociali del compito di introdurre modalità di valutazione
bio-psichico-sociale delle disabilità ai fini dell'inserimento lavorativo, ma
tale previsione non appare del tutto condivisibile". Infatti tale criterio da
solo non sembra adeguato allo scopo, "perché l'elemento fondamentale per la
individuazione dei soggetti destinatari della disciplina del collocamento
obbligatorio resta quello della valutazione tabellare della capacità
lavorativa." Criterio questo che è appunto finalizzato ad individuare
l'incidenza delle patologie sulla persona e a misurare la permanenza di una
residua possibilità di prestare attività lavorativa.
(9 luglio 2015)
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